Pescara fa la sua comparsa tra le tabelle e i grafici del 5° Rapporto nazionale sullo Sharing Mobility 2021: è il segno di una attenzione che sta maturando sempre più rispetto ai nuovi modelli di mobilità sostenibile.
I numerosi schemi confermano che, da qualunque parti lo si guardi, lo sharing è apprezzato in ragione della robustezza del bacino servito, per cui sono le grandi città, estese e soprattutto ad alta densità abitativa, che la fanno da padrona. Ed è proprio per il parametro demografico che Pescara si affaccia a questa nuova realtà, in particolare con la componente della micromobilità dei monopattini.
Abbiamo trovato il nostro comune posizionato in alcuni elenchi, dei noleggi e delle percorrenze, laddove per le altre città concorrono più mezzi di trasporto. Dall’analisi tra l’altro non sfugge che a Pescara sia stata attribuita solo la modalità monopattino-sharing e non anche lo scooter-sharing (partito solo a fine estate).
Ma ciò che emerge dal rapporto è soprattutto il contesto non adatto in cui, nonostante tutto, la micromobilità si fa strada: “Questa novità (…) ha portato anche alla ribalta la scarsità delle infrastrutture disponibili, l’assenza di parcheggi dedicati per i mezzi più leggeri e la necessità di governare il sistema della mobilità urbana, garantendo spazio e sicurezza a tutte le modalità e i mezzi di trasporto“.
E’ qui che si gioca buona parte della sfida: non si può ritenere che lo stesso assetto stradale cresciuto per esigenze automobilistiche sia idoneo anche per mezzi completamente diversi, per dimensioni e per versatilità d’uso.
Ma anche per una bassa sicurezza intrinseca, che non è quella attiva e passiva dell’automobile che, si fa per dire, protegge i passeggeri col proprio involucro e con i propri sistemi di controllo, ma che rimanda da una parte all’abilità di chi guida, poi ad alcuni presidi di sicurezza (casco, luci, pettorine, ecc.), e soprattutto al contesto fisico di riferimento, la strada.
E’ qui, a nostro avviso, che si deve vincere la partita. Sulla strada parco, ad esempio, ma anche su alcune piste e corsie ciclabili, è sufficiente il fattore abilità di guida e vengono meno gli altri, mentre lungo tutti gli altri percorsi è il fattore “strada”, nel senso di fondo stradale e presenza delle auto, a prendere, in termini di sicurezza, il sopravvento costringendo l’utente ad una maggiore attenzione alla guida nonché a dotarsi di ulteriori presidi di protezione.
Non per nulla le ultime determinazioni governative in materia di codice della strada hanno puntato sul fattore sicurezza dell’utente “vulnerabile”: è il conducente del mezzo più debole, monopattino, bici ma anche il pedone, a doversi difendere, facendosi vedere meglio e andando più piano. Il resto rimane intatto.
Ma se queste sono le nuove norme, ce ne sono tante altre, anch’esse frutto della pandemia, che invece potrebbero essere recuperate: strade scolastiche, corsie ciclabili in zone con limite 30, case avanzate, le nuove categorie di strade a prevalenza ciclabile, senza dimenticare la relativa segnaletica e una buona se non massiccia dose di comunicazione promozionale.
Su questi fronti, che sono quelli cari a distratte se non assenti politiche di mobility management, bisogna farsi spazio se si vogliono raggiungere quanto prima obiettivi certi e concreti di sostenibilità ambientale, economica e sociale.