PESCARA – In questi giorni si fa un gran parlare di piste ciclabili. E non poteva che essere così, una volta assodato che il limite di polveri sottili presenti nell’aria di Pescara è andato più volte ben oltre il limite massimo consentito dalle legge, determinando un aggravamento dello stato dell’inquinamento atmosferico cui la drastica riduzione dei mezzi a motore potrebbe porre rimedio. La mobilità sostenibile, e in primis quella ciclistica, è un antidoto reale all’inquinamento prodotto dai motori. E’ una soluzione economica, salutista, ecologica, e per di più piacevole. Ma per contenere la mobilità a motore e far decollare quella sostenibile occorre rendere la città ciclabile. Come? E qui torna il tema delle piste ciclabili, o del bike sharing, cui molti stanno attribuendo una responsabilità sovrastimata rispetto a quelle che sono le reali potenzialità di incentivo all’uso delle due ruote in una città come Pescara. Più piste ciclabili. Giusto. Ma come farle? Come ricongiungerle? Come assicurare che attraversino ogni parte della città così da muoversi in sicurezza in bici a tutte le età e in qualsiasi zona?
Esiste un primo fondamentale strumento di regolamentazione della mobilità mai preso in considerazione dagli amministrazioni attuali e precedenti: il biciplan, ovvero il piano complessivo della città – redatto da tecnici esperti – che ridisegna la mobilità urbana in un ‘ottica di reti ciclabili diffuse e di integrazione di percorsi fatti per ciclisti urbani. Lo strumento che disegna e programma gli interventi rivolti alla ciclabilità della città indicandone le priorità e le modalità per realizzarli. Quello che – evidentemente – è mancato a Pescara, dove quei pochi chilometri di piste ciclabili sono spezzettate, interrotte nei punti pericolosi non collegate tra loro, in quanto, appunto, sono il risultato non di una programmazione studiata ma di una serie di interventi sporadici spesso conseguenti a particolari progetti legati a finanziamenti europei (v. pista ciclabile adiacente alla strada parco). Spesso queste piste ciclabili non sono adeguatamente segnalate; sono poco controllate ( v. lungofiume e parco fluviale) e restano per mesi prive di manutenzione (v. l’erba che le sovrasta la strada ciclabile verso l’ospedale, o gli assi sconnessi dei ponti di legno del parco fluviale e del ponte di ferro , ecc.). Allora, è quanto mai necessario che l’amministrazione si doti di un modello di sviluppo della ciclabilità urbana, con obiettivi chiari, stabilendo da subito se vuole incentivare o no la bici, a discapito delle auto oppure a vantaggio del trasporto pubblico locale, o, ancora dei pedoni. In realtà come ben spiega un rapporto, presentato qualche giorno fa a Bologna dalla FIAB, Legambiente e CittàinBici sull’uso della bici nelle città italiane, non è solo dal numero di chilometri di piste ciclabili che si misura la mobilità sostenibile, quanto da un indicatore, il “modal share”, che aggrega gli spostamenti fatti a piedi, in bici o con il mezzo pubblico, contro quelli fatti in moto e auto: la mobilità sostenibile insomma, contro quella “insostenibile”. A Parma, ad es. ci sono molti più chilometri di piste ciclabili rispetto a Bolzano, ma qui i percorsi ciclabili sono meglio integrati e hanno meno barriere, tanto da spingere il 29 per cento della popolazione a spostarsi in bici, e contenere la mobilità a motore al 34% della mobilità complessiva.
Che significa tutto questo? Che per ridurre il traffico a motore servono sì più percorsi ciclabili, ma anche una politica complessiva di promozione dell’intermodalità del traffico, dalla bici alla pedonalità al trasporto pubblico, che risulterà essa stessa una spinta ideale all’uso della bicicletta. Se a Pescara più linee di trasporto pubblico locale consentissero di trasportare le biciclette, anche gli abitanti della zona Colli ( circa 35.000) sarebbero incentivati a lasciare l’auto a casa e a spostarsi in bici nel centro cittadino. Se l’amministrazione comunale volesse davvero rendere questa città ciclabile, oltre a realizzare parcheggi di scambio, ciclo parcheggi, percorsi ciclabili (laddove è difficoltoso realizzare delle vere e proprie piste ciclabili), costituirebbe un tavolo tecnico-politico che lavori con l’ufficio di mobilità ciclistica (che dalle nostre parti non esiste) e con l’ufficio biciclette (che non c’è!) per la progettazione delle reti ciclabili e per la cultura della mobilità sulle due ruote. E ancora spenderebbe le risorse finanziarie previste nel piano triennale delle opere pubbliche per interventi concreti sulla città e assicurerebbe che una parte delle risorse provenienti dalle multe e dalle soste a pagamento fosse utilizzata per la manutenzione dei percorsi esistenti e per la messa in sicurezza di quelli più pericolosi. Non è così difficile, basta crederci. Il risultato sarebbe quello di avere una città più vivibile e un’aria più pulita.